Ritorno sul tema della memoria, in questa occasione per parlare di sogni. Ora, con il termine “sogni”, in genere si indicano due cose diverse. L’aspirazione, il desiderio di raggiungere qualcosa, o esperire qualcosa, e i sogni che ci fanno visita durante la notte. Probabilmente la memoria ha a che fare con entrambe le categorie, ma qui parlerò della seconda. Quell’insieme di visioni, di sensazioni, di deformazioni in cui la nostra mente s’adagia e sguazza, durante il sonno.
Per essere precisi, poi, si dovrebbe dire che non sogniamo durante tutto il nostro sonno, ma solo in una fase specifica del nostro dormire.
Fasi del sonno
Infatti, esistono 5 fasi del sonno, suddivise a seconda della loro locazione temporale, variazione di effetti fisiologici sul nostro organismo e a seconda dell’attività cerebrale.
In particolare, esistono 4 fasi Non rem, dove, progressivamente, il sonno diviene più profondo e l’attività cerebrale diminuisce, fino al suo culmine nella fase 4. A questa ultima fase di “sonno profondo”, utile a riposare il corpo e la mente, segue la fase REM. In questa fase, come mostra l’immagine sopra, l’attività cerebrale è molto elevata, poco sotto lo stato di veglia e sono presenti rapidi movimenti oculari (Rapid Eye Movement), dai quali deriva il nome di questa sezione del sonno. È proprio in questa fase che sogniamo.
Ed è per questo che è anche chiamata “sonno paradossale”. Normalmente, per notte, si fanno anche 4 – 5 cicli del sonno, dove ogni ciclo è costituito dalle 5 fasi sopra descritte , con la differenza che con il procedere della notte (e dunque con la ripetizione dei cicli) la fase REM si allunga temporalmente.
Per questo talvolta, in una medesima notte, sogniamo più volte. Abbiamo più sogni.
Attività cerebrale durante fase REM
Ma a cosa serve sognare?
In primo luogo, sembra che sognare serva a “difendere” e preservare lo stato di sonno. Se siamo nella fase REM, è probabile che (tra le altre cose) il cervello ci fornisca quanto ci serve per evitare di svegliarci. Se abbiamo sete, potrebbe capitare di sognare di bere, o semplicemente una cascata, o dell’acqua. Se abbiamo fame, potremmo sognare del cibo, se abbiamo altre voglie… Una teoria famosa è invece quella derivante dalla psicanalisi. Secondo la teoria psicanalitica classica e in particolare Freud (l’interpretazione dei sogni)
“Il motore dei sogni sono i desideri inconsci. Tali desiderî, appunto inconscî e non accessibili all’io (parte razionale) operano ancora all’interno della psiche umana; durante la notte rafforzano i loro effetti per via della minore attività della coscienza, e hanno dunque l’occasione di emergere sotto forma di immagine onirica”.
In altre parole, secondo Freud sogniamo per liberarci dalle frustrazioni diurne, per sfogare ciò che la nostra coscienza vigile solitamente ci inibisce. Il che non mi sembra molto diverso da quest’interpretazione:
« I sogni son desideri di felicità. Nel sonno non hai pensieri Ti esprimi con sincerità. »
(da: Cenerentola di Walt Disney)
Sinceramente, per quanto affascinante, è una teoria – quella psicanalitica – che non mi ha mai convinto del tutto. E non solo per i sogni. Il voler scavare nel passato più antico, e praticamente sempre nell’infanzia per giustificare qualsiasi problema psicologico o qualsiasi processo mentale lo trovo poco “scientifico” e un poco ripetitivo.
Sembra indicare implicitamente che siamo destinati a essere ciò che siamo, a fare ciò che facciamo, e sognare ciò che sogniamo a seconda di come ci abbiano trattato mamma e papà nei primi anni di vita.
Considerando anche le nuove scoperte sulla plasticità del cervello, secondo cui quest’ultimo non rimane affatto eguale a com’era nell’infanzia, ma si modifica e si evolve a seconda delle esperienze che facciamo e di come lo usiamo, mi pare a dir poco riduttivo.
Non solo, lo trovo una sorta di “blocco”, all’azione nel presente. Se abbiamo dei problemi, e ci soffermiamo sempre su di essi, scervellandoci per capire che torto mai ci abbiano fatto durante l’infanzia, è probabile che quei problemi ce li porteremo dietro, non tanto e non solo perché non si può tornare indietro nel tempo e perché continuiamo a “viverci dentro” , ma perché non avremo fatto nulla di concreto per tentare di risolverli.
come recita una storia Zen
Una volta, due monaci, Tanzan e Ekido, stavano attraversando un torrente quando scorsero una bella ragazza in kimono e sciarpa di seta che cercava, senza riuscirci, di fare altrettanto. Tanzan, senza pensarci, la prese in braccio e la portò dall’altra parte.
Ekido non disse nulla finché quella sera non ebbero raggiunto un tempio dove passare la notte.
Allora non poté più trattenersi. “Noi monaci non avviciniamo le donne” disse a Tanzan ” e meno che meno quelle giovani e carine. È pericoloso. Perché l’hai fatto?”. Lo rimproverò.
“Io quella ragazza l’ho lasciata laggiù sulla riva” disse Tanzan. “Tu invece la stai ancora portando con te?”.
“Chi sogna di giorno conosce molte cose che sfuggono a chi sogna solo di notte.” Edgar Allan Poe
Nei sogni poi, con questa spiegazione si ignorano praticamente tutte le stimolazioni esterne, e soprattutto i frammenti di ricordi che vengono a trovarci nel sogno, che non per forza, direi anzi di rado appartengono all’infanzia ma, più probabilmente, ai ricordi presenti o ad un recente passato.
E qui viene forse il punto focale di questo post. Più recentemente si è infatti testato che uno stato di privazione da fase REM – e dunque dei sogni – provoca problemi di memoria, irritabilità, difficoltà di attenzione e alla lunga perdita di personalità.
Problemi che mi sembrano tutti collegati al primo: la perdita o comunque il non ottimale funzionamento della memoria. In fondo i nostri ricordi sono ciò che costituiscono la nostra esperienza, e le nostre esperienze sono ciò che tracciano le nostre individualità.
Con questo è coerente la teoria di altri studiosi più recenti (come Eugen Tarnow) , secondo cui sognare aiuta a consolidare i ricordi immagazzinati nella memoria a breve termine in quella a lungo termine. In particolare, se il riposo del sonno profondo (fase non REM) aiuta a “pulire” la mente con il riposo e ricaricare di energie la memoria, la fase REM serve ad organizzare i ricordi, mettendoli in relazione con altri passati, associandoli, e catalogandoli. Così si esprime anche Giuseppe Plazzi del Dipartimento di neuroscienze dell’Università di Bologna:
“Numerosi studi hanno ormai dimostrato che il sonno esercita un’influenza positiva sul funzionamento della memoria, chiamata sleep effect. Lo sleep effect è dovuto a diversi fattori, come la riduzione delle interferenze causate dagli stimoli esterni che si verifica mentre si dorme, ma è anche la conseguenza di una funzione attiva del sonno nel consolidare le informazioni che sono presenti nella memoria.”
“Fai della tua vita un sogno, e di un sogno, una realtà.” Antoine-Marie Roger de Saint-Exupery
Apprendere durante il sonno (?)
Anzi, tale rafforzamento ed organizzazione della memoria durante il sonno, ed il sogno, è abbastanza forte da spingere alcuni studiosi a pensare che si potrebbe non tanto imparare, quanto “ripassare”, ed appunto “consolidare” durante il sonno.
Per esempio Ken A. Paller, neuroscienziato cognitivo della Northwestern, afferma che “durante il sonno il processo di consolidamento delle informazioni apprese continui e sia anzi un buon metodo per rafforzare i ricordi. Abbiamo dimostrato che si possono acquisire informazioni anche dormendo grazie all’apparato acustico e che si può rafforzarne il ricordo tramite suoni specifici a ciascuna fase dell’apprendimento”.
Lo scienziato afferma ciò a seguito di un esperimento: dei ricercatori hanno insegnato ad alcuni soggetti a collocare una cinquantina di immagini al loro posto giusto su uno schermo. Ogni immagine era accompagnata da un suono particolare, per esempio un miagolio per l’immagine del gatto e un turbinio di pale per quella di un elicottero. Dodici soggetti hanno quindi fatto un sonnellino, durante il quale 25 dei suoni ascoltati in precedenza sono stati trasmessi insieme al rumore bianco. Quando si sono svegliati nessuno di loro si è reso conto di essere stato sottoposto a un simile concerto di suoni. Nondimeno, quasi tutti hanno ricordato con maggiore precisione la disposizione sul computer delle immagini i cui suoni erano stati ritrasmessi mentre dormivano, mentre hanno incontrato qualche difficoltà in più per le restanti 25 immagini.
Il che non implica che si possa apprendere qualcosa di nuovo dormendo, ma che un ripasso prima di dormire (sonnellino o sonno lungo che sia) potrebbe aiutare a consolidare ricordi o nozioni già studiate.
Come ricordare i sogni
Fin qui abbiamo parlato di come i sogni influenzano la memoria, proviamo invece a “girare la frittata”, parlando di come sia possibile ricordare i sogni.
Prima sfatiamo un dubbio: molti dicono non di non ricordare i propri sogni ma che loro no, non sognano. È già implicito in quanto detto sopra, ma sembra ormai un fatto accertato che tutti sognino… il fatto è appunto che non è facile ricordarli.
Questo per almeno tre motivi: il primo è che la memoria funziona prevalentemente per associazione e per logica (ricordo per esempio che devo prendere al mercato latte e biscotti, perché unisco le due cose, sia per immagine sia per senso) e, durante i sogni, vi sono meno punti di riferimento (il mondo reale, le abitudini, il confronto con gli altri) per fare associazioni e per “dedurre” un ricordo per logica dal momento che, come si sa, nei sogni non v’è una logica o, più probabilmente, ve n’è una diversa da quella del “mondo fenomenico” diurno.
Una seconda motivazione, per diversi motivi, l’ho già espressa altrove, parlando di come la memoria diminuisce e si altera quando si cambia ambiente. E se questo è vero quando semplicemente si passa dal salotto alla camera (e ci si dimentica che diamine si è venuti a fare in camera), possiamo immaginare come un processo similare accada quando passiamo dal mondo dei sogni a quello reale.
Il terzo motivo, molto banalmente e brutalmente, credo sia lo stato di rincoglionimento generale in cui siamo ancora assorti appena svegli. Non che succeda sempre, ma se ci svegliamo nella fase REM, che appunto è quella dove sogniamo, credo sia naturale dimenticare cosa abbiamo fatto “dall’altra parte”. A ciò si può associare il semplice fatto che non ci pensiamo, o non ci tentiamo.
E difficilmente verremo a capo di qualcosa senza tentarci e portare la nostra mente a pensarci: questo vale anche per i sogni e per la memoria. Metodi dunque per ricordare i sogni, sono “semplicemente” dei metodi, degli accorgimenti per indebolire o combattere i motivi per cui ce li dimentichiamo, del resto sembra abbastanza logico. Per prima cosa dunque è necessario:
Ricordare di ricordare i sogni: in breve, farci caso, metterci nella disposizione mentale di rimembrare il nostro viaggio onirico.
Suggerire al nostro cervello di ricordarli: collegato al primo punto, spesso basta ripetersi (o immaginarsi) di ricordare i propri sogni, per esempio ripetendosi, scrivendo, o visualizzando mentalmente una frase come “voglio ricordare i miei sogni” o “questa notte ricorderò i miei sogni”.
Lo so, sembra parecchio idiota, ma non sottovalutate la ricettività del vostro inconscio o, più pragmaticamente, ricordate che è semplicemente un metodo per far capire a voi stessi che è una cosa a cui tenete. Una sorta di promemoria (che del resto si chiamerà così per un motivo) come un banale “oggi devo far la spesa” o “oggi devo leggere quell’articolo”.
Bere molta acqua, e tenerne un po’ sul comodino: questo per due motivi. Per prima cosa avrete meno bisogno di alzarvi per bere, e quindi magari interrompere il vostro sogno (in tal caso sarebbe più difficile ricordarlo) .
In secondo luogo (prima o poi spiegherò l’origine di questo modo di dire, lo giuro) bere un poco prima di addormentarsi, e lasciarne un po’ per il mattino, da bere appena svegli, può essere un modo di stemperare quel cambio d’ambiente di cui ho parlato poco sopra. Come se fosse un po’ un elemento di continuità e coerenza tra lo stato di veglia e quello onirico.
Tenere un diario in cui registrare i nostri sogni, questo anche per rinforzare i primi due punti elencati. Ovviamente il diario va tenuto vicino al letto, di modo che quando ci svegliamo da un sogno, lo abbiamo già pronto per segnare brevi appunti di quanto abbiamo esperito nel sogno stesso. Altrimenti, se dobbiamo alzarci per recuperare carta e penna, o peggio ancora accedere il computer, lo avremo già dimenticato.
In questa fase naturalmente bastano pochi appunti: da quelli poi si potrà “rivisitare” i luoghi del sogno, per ricordarci il resto. Volendo, si potrebbe infatti riscrivere i ricordi del sogno, partendo dagli “appunti a letto”, per metterli giù in forma più completa, questo porta a
Sviluppare un’abitudine nel pensare e nel collegare (associare) i nostri sogni e la nostra attenzione su di essi, che è poi il riassunto e il consolidamento dell’elenco fatto fin qui.
Perché dormiamo? Perché sogniamo?
A dispetto di Freud, sì, parrebbe ancora che il sonno abbia più funzioni relative all’immagazzinamento della memoria, dunque all’organizzazione del vissuto, che non della libido o della frustrazioni avute quando si dormiva con l’orsetto Teddy.
Robert Stickgold, della Harvard Medical School, come altri torna a dire che il sonno funziona come un sistema di riorganizzazione dei ricordi e delle esperienze, che appunto il cervello opera e conduce durante il sonno, in particolare durante la fase REM.
Anche lui ha fatto degli esperimenti di memoria (e di capacità di reazione), testando e verificando il miglioramento in un gioco sconosciuto dai tester: i risultati erano sempre migliori dopo il sonno, come se “i ricordi e le possibilità fossero più chiare”. Ricordando meglio, probabilmente si può anche reagire con più sicurezza (o più creatività a seconda) anche in situazioni non già affrontate.
Lo scienziato afferma infatti che:
“Quel che il cervello conosce al mattino è molto più della somma dei ricordi della sera precedente. Durante la notte infatti si è dato da fare per integrare le nuove esperienze con quelle già presenti. Ha messo i pezzi del puzzle in un contesto. Ha tracciato una linea fra i punti isolati. Ha estratto il concetto di fondo da un elenco di dettagli. Da una serie di singoli episodi ha carpito la regola generale. In una parola, ci ha fatto diventare più intelligenti”.
Cosa interessante credo sia anche il fatto che le diverse fasi del sonno (REM e non REM) aiutano maggiormente i diversi tipi di memoria. Per cui
“Oziare, preparare un esame o allenarsi per un torneo di tennis sono attività che richiedono tipi di sonno diverso” spiega il neurologo. Nel primo caso, i ricordi da consolidare sono ridotti, e di conseguenza anche la necessità delle ore di riposo. Nel secondo caso, occorrerà invece una buona dose di sonno della fase Rem (quella in cui si concentra l’attività onirica), utile a potenziare la memoria dichiarativa. Nel terzo caso, è la cosiddetta “fase due” del sonno la più efficiente per fissare uno schema motorio. “Se insegniamo ai volontari una sequenza di movimenti con le dita della mano sinistra – ha osservato Stickgold – la notte noteremo un’attività più intensa del normale nell’emisfero destro, quello che sovrintende alla mano impegnata negli esercizi”. (memoria procedurale)
Ad ogni modo, il nodo focale per la memoria, per il suo sviluppo, credo resti l’emozione: Chiedetevi cosa avete fatto un giorno qualunque, o il giorno in cui avete perso una persona cara, o avete avuto un incidente, o avete conosciuto il vostro amore. O più banalmente (se non siete dei “pargoli”): cosa avete fatto l’11 settembre del 2001?