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venerdì 20 luglio 2018

Kaizen ed abitudine, 2

Abbiamo parlato precedentemente di Kaizen (Cambiamento + Miglioramento, o cambiamento in meglio) per esemplificare come sviluppare un’abitudine per riuscire a fare costantemente dei piccoli passi che, nel lungo andare, costituiscono un tragitto, un sentiero, un progetto.
Lo sminuzzare il complesso, l’apparente impossibile, per trasformarlo nel semplice, ma possibile: il kaizen, le abitudini servono a questo.

In versione comica, è interessante vedere questo video (basta il primo minuto) per farsi un’idea pratica di Kaizen. Qui Hugh Grant in “About a boy” – che interpreta un “ereditiero” che non ha bisogno di lavorare e deve spendere in qualche modo il tempo – spiega come riesca a smorzare l’iniziale paura delle 24 ore da spendere, considerandole in termini di unità individuali.

Abitudine e kaizen

“L’essenza stessa del Kaizen è molto semplice e quasi disarmante: Kaizen significa migliorare grazie al coinvolgimento di tutti, lavoratori e manager. La filosofia Kaizen prevede che il nostro modo di vivere, al lavoro, nella vita sociale, tra le pareti di casa, migliori in maniera costante.” MASAAKI IMAI 
Ora, come dice l’immagine, il concetto è assai semplice. Cambiare per il meglio. Un passetto alla volta. Poi, in realtà, la cosa può essere più complessa, perché almeno normalmente, parlando di Kaizen, si va a parlare di TQM (total quality management), di just in time (a me viene sempre in mente just in case, ma è un’altra cosa) , collaborazione aziendale e blablabla… Cose che appunto rendono complicato un concetto semplice ma, se proprio volete saperne di più, studiatevi questo schemino: recuperato da resistenzaumana, che peraltro consiglio vivamente di sbirciare. Qui, a dire il vero, non voglio neanche parlare del Kaizen Institute di Masaaki Imai (diciamo che l’ho liquidato con la citazione iniziale), o del fatto che molti concetti del “Kaizen aziendale” derivano dai lavori di William Edwards Deming, o dei progetti della Toyota anni ’50. In parte, perché sono più interessato alla semplicità della cosa, e al suo livello “filosofico”. In parte perché sono d’accordo con Lev Tolstoj quando afferma che “Tutti pensano a cambiare l’umanità ma nessuno pensa a cambiare sé stesso“. Per la semplicità il discorso è… semplice.  Troppo nozionismo, troppa astrazione, rendono solo le cosepiù… noiose. Si studia, ma non si apprende. Si complicano le cose semplici, per fingere di essere chissà quali pezzi grossi della cultura, o perché non si è in grado di rendere una cosa interessante e semplice.
In altre parole, fruibile. Anzi, gustosa: è più semplice, e mi piace di più.

Fonti, esempio: storia della scuola e oggetti che parlano

 Documenti e foto di repertorio: la scuola negli anni Foto 1 Foto 2 Foto 3 Foto 4 POSSIBILE INTERVISTA ALLO "STUDENTE DEL PASSATO"...