venerdì 20 luglio 2018

Cos'è la memoria?

Cos’è la memoria?
Sulla punta della lingua
Per iniziare il nostro discorso ed il nostro viaggio nella Memoria, partiremo dalla teoria: una circumnavigazione del termine, ed un’esplorazione dei rimandi a cui la memoria porta. Cos’è, alla fine, la memoria? Come influisce nella nostre vite, nella nostra psicologia? Come è possibile migliorarla? Solo conoscendola meglio sarà possibile rispondere all’ultima domanda, per cui, solo dopo aver esplorato questi primi interrogativi, parleremo più specificamente delle tecniche di memoria.
     

   Partiamo!











…Cos’è la memoria?

… me lo sono dimenticato

… Cos’è la memoria?

… quel che del passato si ostina a rimanere in noi

… Cos’è la memoria?

… quella cosa che perdi dopo una sbronza

“Ho fatto questo” dice la mia memoria. “Non posso aver fatto questo” dice il mio orgoglio e resta irremovibile. Alla fine, è la memoria a cedere.

Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male, 1886

La memoria. Sacca piena di cianfrusaglie che rotolano fuori per caso e finiscono col meravigliarti, come se non fossi stato tu a raccoglierle, a trasformarle in oggetti preziosi. (Wu Ming)

Iniziamo da una breve “passeggiata linguistica”: Memoria, o memòria, deriva dal latino mèmor (memore, che si ricorda), “Facoltà di ritenere e riprodurre pensieri positivi, senza che rimanga o ritorni l’occasione che li suscitò (presenza in assenza), l’atto del ritenere o del riprodurre. O, per meglio precisare: memoria è la facoltà di ritenere, reminiscenza la facoltà di richiamare alla mente cose apprese. Ricordanza è lo stato passivo della mente grazie a cui, senza sforzo né ricerca, si ritrovano cose precedentemente apprese.

La memoria è il diario che ciascuno di noi porta sempre con sé. Oscar Wilde,L’importanza di chiamarsi Ernesto, 1895

Interessante notare che reminiscenza indica anche il passo o il luogo di un’opera, che fa venire alla mente un altro, per la somiglianza che ha con esso. Parole che si intersecano, in questa definizione, come a sottolineare il potere associativo della memoria e la sua differenziazione per metodi ed ambienti. Memoria spaziale, procedurale (dei gesti inconsci), visiva, dei volti… ma di questo parlerò in seguito, per ora continuiamo a vagare intorno al termine, alla parola… Non troppo diversi in termini di vocaboli sono la Memória portoghese, la memoria spagnola, e la mémoire francese (per quanto faccia ricordare anche il souvenir). In tedesco suona invece andenken. Bizzarri sono invece i termini giapponesi: メモリ, che sta per qualcosa come “nota del re” e 暗記, che sta per qualcosa come “buio registrato, registrato al buio”, ed è più vicino al verbo memorizzare. La pronuncia del secondo termine è “Anki” e questo nome lo porta anche un programma interessante, utile a ricordare a memoria (by heart), di cui magari parlerò in futuro ma del quale in sostanza potete facilmente capire il meccanismo: si basa sulla ripetizione organizzata del materiale che si vuole apprendere. Questo per sfruttare alcune fasi della memoria e della tendenza a dimenticare quanto abbiamo – per esempio – studiato.

Dio ci ha donato la memoria, così possiamo avere le rose anche a Dicembre. (James Matthew Barrie)

Restando intorno alla nostra parola, e a questa nostra tendenza a dimenticare, può essere interessante anche circoscrivere il suo contrario, la dimenticanza, l’oblio, che Platone associava al Lete, il fiume dove le anime, abbeverandosi, perdevano i ricordi della loro vita e dove, secondo Petrarca, cancellavano i propri peccati.

L’oblio è una seconda morte, che le anime grandi temono più della prima.
Stanislas de Boufflers, Pensées, saillies et bons mots, 1816 (postumo)

Oblio deriva da Oblivium, oblivione, dimenticanza, appunto. Olvido, in spagnolo, deriva da Oblitus. In Inglese, Oblivion, che non è quindi solo un gioco fantasy della Bethesda. Dimenticanza, a sua volta deriva da dimentàre (far uscire di mente) e dementire (essere fuori di mente). Dà quindi l’impressione dell’assenza, della distrazione, dell’estraneazione. Dove ricordarsi dà invece quella della presenza, dell’attenzione. Della capacità di ricordare, re-cordàre, quindi tornare indietro, al còrdis, al cuore. Da qui l’apprendre par coeur francese e il know by heartinglese.

Dove vien meno l’interesse, vien meno anche la memoria. Johann Wolfgang Goethe, Massime e riflessioni, 1833 (postumo)

Del resto nell’antica Grecia si pensava che la sede della memoria fosse il cuore, e non il cervello. E, in un certo senso, avevano ragione. Non fisiologicamente, certo, ma più pragmaticamente. Per dire, è sin troppo facile scordarsi qualcosa che non ha connessione con il cuore: qualcosa che non ha emozione, che è sterile. Tipo, che avete mangiato ieri? E, se proprio, settimana scorsa? Difficile ricordarlo, ma forse ricordate cosa avete mangiato quando avete fatto chilometri e chilometri per tornare in un ristorante che conoscete da tempo, che cucina da Dio, e il cui proprietario è vostro amico. Oppure, cosa avete mangiato al pranzo delle vostre nozze? O ancora, se è successo qualcosa di assurdo, o semplicemente di strano, mentre cenavate o beh, lo ricorderete a lungo, perché la memoria è romantica, abbisogna del cuore. È emotiva: vive di sensazioni, stranezze, ed è anche creativa, per lei è valido quel motto del film “La leggenda del pianista sull’oceano”, di Tornatore. «Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla». Perché una storia normalmente suscita emozione e perché raccontarla aiuta la memoria. Di certo non vi ricordate ogni singolo giorno di scuola o di lavoro, ma il primo giorno al nuovo lavoro, o il primo giorno di scuola, magari sì. Di certo non vi ricordate di tutti i baci che avete dato, ma il primo, o semplicemente il più bello, o quello dato nella condizione più singolare, magari sì. Per esempio, ancora, se quella volta al pranzo di nozze avete mangiato degli spiedini con gamberetti e manzo, e vi ha colpito la combinazione carne e pesce, ve lo ricorderete. Se quell’altra volta, al ristorante del vecchio porco, la cameriera vi ha rovesciato addosso le cozze, sicuramente ne avrete parlato alle amiche, e chissà con quali parole per la povera cameriera: e tutto ciò sarà divenuto… memorabile. Non certo per il mondo, o per la Storia, ma per voi. In un certo senso, si potrebbe dunque dire che meno ci si ricorda, meno si è vissuto qualcosa di emotivamente degno da ricordare. Semplice no? Ci si ricorda il memorabile. Di questo avviso è anche Joshua Foer, giornalista scientifico e vincitore del U.S.A. Memory Champion nel 2006, che, forse un po’ esagerando, ma cogliendo il punto sostiene che “La nostra vita è la somma dei nostri ricordi. Quanto siamo disposti a perdere di questa nostra breve vita semplicemente perché… non prestiamo attenzione?” E per chi se lo chiedesse, sì, è il fratello di Jonathan Safran Foer, scrittore del romanzo “Ogni cosa è illuminata”. In un certo senso, sì, credo siano le cose illuminate ad essere destinate a permanere nei nostri ricordi, nella nostra vita, sovrastano il buio di quel che invece è semplicemente normale. Resta da chiedersi se si possa “illuminare” coscientemente qualcosa. Io credo di sì.

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Mi sveglio, e la prima cosa che vedo è una donna nel mio letto. Intendiamoci, nulla di spiacevole, né di stravagante, se non fosse che non ho la minima idea di chi sia. Non la sveglio, non ancora. La osservo con cura, in cerca di qualsivoglia particolare che mi sia familiare, ma dalla forma delle labbra, alla punta del naso, alla posizione in cui dorme… tutto mi è estraneo. Mi alzo ancora perplesso, vado in bagno e mi getto dell’acqua gelata in faccia, nel tentativo di svegliarmi. È sicuramente un sogno. Sospiro, poi torno indietro. Niente. È ancora lì. Vado sul balcone a fumare, tentando di ricordare che diavolo ho combinato la notte precedente. La cena, la discoteca… Niente eccessi, niente follie, niente donne. È una bella donna, avrà più o meno la mia età, non russa neanche – non ho nulla contro di lei – non la conosco neppure, però, insomma; che cazzo ci fa nel mio letto? Torno ancora alla stanza, pensando di prendere le cose alle spalle. Se è davvero successo qualcosa, dimenticarsene e chiederle chi è sarebbe poco carino. Farò finta di nulla e vedrò cosa succ… aspetta. D’improvviso, vengo calamitato dalla fotografia di mia moglie, quella sul tavolo in sala, la prendo tra le mani e la studio. È indubbiamente mia moglie. Dieci anni di matrimonio non si scordano facilmente. Foto in mano, torno in camera da letto. Guardo la donna sconosciuta e capisco. Capisco che mia moglie mi è divenuta completamente estranea. Estranea quanto un’intrusa nel mio letto.

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