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domenica 16 ottobre 2011
Steve Jobs: forse un guru, forse un maestro. Ma non il mio.
In questi giorni, ovviamente, se n’è parlato tantissimo. Mi verrebbe da dire “da morire”, se non sembrasse politicamente scorretto. Ma temo non sia un mio problema. Con la morte di Steve Jobs (il 5 ottobre di quest’anno, per un tumore maligno al pancreas) è nato, ma direi rinato un movimento pseudo new age, modaiolo e assai cool che lo piange e compiange. Come quando era in vita Steve Jobs è intoccabile: un genio, un ribelle, un guru, un alternativo.
Steve Jobs era soprattutto un essere umano, come tutti, e per questo gli auguro “buon viaggio”, dovunque sia diretto.
Non vorrei però far parte di quelli che finiscono ad elogiare i morti soprattutto perché… perché sono morti.
Steve Jobs era soprattutto un ottimo venditore, un comunicatore, un uomo del marketing. Paragonarlo a un Leonardo da Vinci del 2000, beh, mi pare azzardato. Ma quello che più mi colpisce, è la sua intoccabilità: parlarne male sembra quasi un reato; peggio che odiare il calcio in Italia.
Ecco, siccome il calcio io già lo odio, non credo di incorrere in ulteriori rischi se non mi preoccupo troppo di fare qualche esempio, per mostrare qualche “marachella” del non perfetto guru:
- Un affarista tra gli altri. “I prodotti del grande imprenditore e innovatore vengono prodotti in fabbriche cinesi nelle quali i dipendenti sono talmente sfruttati che si suicidano, decidono, pur essendo giovanissimi, che morire è meglio di lavorare in quelle condizioni. Nonostante i movimenti internazionali che hanno tentato di portare all’attenzione dell’Apple il problema dei dipendenti della Foxconn (14 suicidi l’anno scorso), Steve Jobs e la sua azienda non è che se ne siano fregati più di tanto, prendendo soluzioni che sembrano più palliativi che altro. Non una vera azione nei confronti della Foxconn…” (http://www.gliitaliani.it/2010/05/cina-9-suicidi-nella-fabbrica-ipad/) E’ pur vero che la Foxconn lavora per altre aziende informatiche [per Acer Inc. (Taiwan) Amazon.com (United States), Apple Inc. (United States) Asus (Taiwan) ASRock (Taiwan) Intel (United States) Cisco (United States) Hewlett-Packard (United States)] e altre… ma non è questo il punto. Perché non basta il fatto che una cosa sia diffusa a farla diventare buona. Altrimenti la corruzione, l’omicidio e lo stupro salirebbero presto in vetta all’hit parade delle cose migliori. Il punto, soprattutto, è l’intoccabilità di Steve Jobs.
Le porcate le fanno tutti? Bravi. Allora anche lui era uno come gli altri.
Ma proseguiamo…
- Lo Steve Jobs alternativo che da giovane faceva viaggi in India, portava i capelli lunghi e mangiava solo frutta (qualcuno dice che il suo gusto per le mele, oltre che la mela al cianuro di Touring e quella di Newton, ed il morso – byte – fosse uno dei motivi del simbolo della Apple) aveva fin da subito creato attorno alla sua figura un’aria da spiritoso spirituale, e accattivato i nerdoni del suo tempo per far risultare Apple un’alternativa tra gli alternativi, e lui stesso un genio tra i geni. Il suo Stay foolish, stay hungry, è sempre stato ambiguo quanto lui. Folle, e affamato… di cosa? Forse di sogni, ma anche di successo, palchi, soldi. In breve, il sogno che ha veramente seguito, è quello americano. Non sempre così apprezzabile, in quanto a ipocrisia e retorica.
- Lo Steve Jobs “geniale” è stato davvero geniale, sì a prendere a piene mani dal centro di ricerca Xerox di Palo alto, specie quel sistema di interfaccia che tanto bene ora conosciamo, e che nasconde le complesse istruzioni utili al funzionamento del pc in semplici gesti da tutti eseguibili (ai primi tempi solo pochi eletti potevano parlare il “linguaggio macchina” utile a comandare il sistema). E’ stato bravo a proporre l’accordo a Xerox, ma non ha inventato nulla.
- Il Jobs capo e presidente della sua società, non era esattamente l’amabile guru di nero vestito che presentava i suoi prodotti e le sue parabole al mercato: era un affarista spietato, capace di licenziare una moltitudine di dipendenti appena tornati dalle feste di Natale senza troppi ringraziamenti o, per non fare nomi, capace di silurare quel che fu il capo dell’antico progetto Lisa (super computer con il nome della figlia di Jobs) – Ken Rothmuller – solo perché aveva osato lamentarsi delle continue incursioni del guru nel suo lavoro. O di Jeff Raskin, capo del progetto Macintosh, silurato nel 1982 nonostante l’esperienza di quest’ultimo: divenne infatti autorevolissimo teorico delle interfacce utente. Poi, per non esagerare con le cattiverie, o meglio, per non passare da squalo, decise (1983) di lasciare la presidenza ad uno squalo vero: John Sculley. presidente – allora – della Pepsi-Cola. Alla faccia dell’alternativa! Il bello è che nel 1985, quando viene accusato di “misticismo e irrazionalismo tecnologico” dai dirigenti dell’azienda, tenta invano di silurare anche lo squalo che, almeno per un po’ avrà la meglio: viene confermata la fiducia al Pepsi- Man e Jobs si convince a dare le dimissioni, accordandosi, naturalmente, per non far assumere alla Mela di Cupertino nessun dipendente nei successivi sei mesi.
- Un’alternativa… chiusa. Ci sarebbe da ridire anche dal classico confronto tra Mac e IBM. Bill Gates è sempre stato fatto passare (per lo più giustamente) come un affarista monopolista, ma l’intoccabile guru non è stato da meno. Ma lui è cool! In quanto ad apertura tecnica, almeno, si può di certo dire che Microsoft fu da sempre più aperta: il suo sistema hardware è aperto a tutti; tutti i produttori possono realizzare modelli compatibili con il suo sistema. Il guru è autarchico. Il suo prodotto deve essere incontaminato ed assolutamente chiuso: macchina, sistema operativo e software sono un’unica cosa, immodificabile dal cliente; Il macintosh è chiuso alla possibilità di scambiare parti compatibili del PC per restare al passo con l’evoluzione dei tempi e dell’informatica. (le cose cono cambiate solo negli ultimi anni, come la compatibilità di windows su Mac, ma solo per ragioni commerciali). Se compri Apple, compri anche una visione, entri in un club assai ristretto. Una cerchia. Il Mac è il computer per i creativi (o aspiranti tali), e chi ha un Mac è un creativo! Lo dimostra così bene la sistematica pubblicità “occulta” sparpagliata ovunque, in film, fumetti, strisce di giornali: le star usano Apple, e ne vanno fieri! Ma la pubblicità di questo genere non è un male, una mezza truffa? Non per Jobs. Lui è un santo. Tanto santo da promuovere perfino il logo di Apple su un bel bolide di Cars, della sua Pixar ( http://t2.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSCR3U_6PsXNPIkbTRgDzESVqDxcO9S3v2N-tJPgAPAa-V7NoFK5w ). Bolide peraltro targato 84, anno corrispondente al lancio del Macintosh, con cui si giocò anche nella prima occasione, con la metafora del famoso 1984 di orwelliana memoria ( http://www.youtube.com/watch?v=OYecfV3ubP8 ), nel quale Microsoft rappresentava il grigio e cattivo grande fratello dello schermo, e la bionda in corsa col martello che sfascia lo schermo la ribelle Apple.
Collegandosi al punto precedente, si potrebbe aggiungere che, nella battaglia tra Apple e Microsoft, risultano infondate le accuse di copiatura e plagio rivolte dal guru a Gates, visto che l’idea base proveniva dal centro Xerox, e che le interfacce erano in ogni caso assai diverse. Idem per il mouse, non certo ideato da Apple, visto che deriva da un’invenzione di Engelbart (1967!) e dalla sua riformulazione per PC del solito Xerox.
- La coerenza nelle scuole. Interessante è anche notare una certa contraddizione, nel suo rapporto con le scuole. Avete presente i vari discorsi e convegni (molto emozionanti, molto retorici, molto ben fatti) di Jobs alle università ed i college? Spesso il guru critica l’istituzione scolastica ritenendola una perfetta sede per perdere tempo e creatività, standardizzare le conoscenze e uniformare i pensieri (del resto è un alternativo!). Il che fa pensare. Potrebbe anche essere vero, ma che cazzo applaudono a fare gli spettatori, quando sono appena uscite dall’università tanto vituperate?
Ma il bello deve ancora arrivare. Sì, perché Jobs era tanto interessato a standardizzare l’informatica delle scuole su Apple da scrivere un disegno di legge da proporre per la dotazione delle scuole dei computer, e da fare molte donazioni di macchine per spacciarle come buon dono dietro l’intento di monopolizzare quel mercato: se gli studenti crescono su Apple, poi vorranno Apple anche fuori da scuola, no? Intento consapevole, visto che rivolse la medesima accusa a Microsoft, quando come compenso della situazione di monopolio (per aver lasciato copiare i suoi prodotti al fine di diffonderli al massimo) gli avvocati avevano proposto di pagare l’ammenda con una donazione in computer e assistenza alle scuole per un valore di un miliardo di dollari.
Insomma, la scuola non va bene per istruire, ma per far soldi sì.
Altre battaglie: Solo Mac può essere cool. Apple non se la prende con la sola Microsoft, per esempio, Daewoo e eMachine incorrono nell’errore di voler regalare linee arrotondate e colori vivaci alle proprie macchine: il guru li trascina in tribunale ottenendo una sentenza almeno assurda: solo Apple può costruire macchine eleganti.
Il presidente da un dollaro all’anno. Dopo il reintegro in Apple, Jobs ricopre la carica di presidente onorario, si dice, per un dollaro all’anno dal carattere chiaramente simbolico (e alternativo, ci mancherebbe!). Altro mito da sfatare, visto che si tratta comunque abbastanza bene con un risarcimento di 10 milioni di dollari in stock options dal consiglio d’amministrazione e svolazza per il mondo con un jet da 40.
- Nei cartoni: Jobs è famoso per aver acquistato la Pixar nel 1986 da George Lucas – per dieci milioni di dollari – rendendola indipendente. Nel 95 il colpo da maestro, con Disney produce Toy Story. Gran successo, ma di certo una trama alla disney: tema politically correct, conservatore e adatto alla mediocrità americana. Forse per questo il successo dell’irruenza di Shreck (2001) della Dreamworks invertirà le parti, e a Jobs toccherà quelle del conservatore.
- Nella musica digitale è singolare come l’alternatività di Jobs sia sfociata in un monopolio di fatto, dettato da Itunes Store, il suo software proprietario (DRM) che non consente (al contrario di mp3 ecc) la diffusione libera del file. Ovviamente la cosa vale anche per quel costosissimo e cool-issimo oggettino che è l’i-Pod: strumento che può far girare solo quel formato, per cui chi ha Apple, da Apple compra musica. Non potrà comprarla legalmente on line su altri siti. Per esempio non da Microsoft, ovviamente! (sempre se vuole ascoltarla sull’iPod).
- Il mondex, o quasi Per qualche anno, sul Mac è anche girato un simpatico chip (Fritz, Trusted platform module) in grado di identificare macchina e qualunque software su di essa installato, al riconoscimento su internet. Questo evita ovviamente anche che il sistema operativo Mac OS X non sia originale. Poi la cosa viene meno, perché “non resa utile dai clienti”, ma se fosse accaduto a Microsoft Gates non l’avrebbe passata liscia. C’è chi può e chi non può.
Del resto, anche alla Miramax pensano che il problema dell’industria cinematografica (ma direi anche musicale) non deriva dalla pirateria, ma dal monopolio. Ed il monopolio in questo caso è di Apple, non di Microsfort. http://www.applerumors.it/2011/10/05/secondo-miramax-apple-favorisce-la-pirateria/
E altre cose… Per non parlare dello scontro con la EFF (electronic frontier foundation) per l’accusa ai giornalisti che osavano anticipare in pubblico i nuovi gioielli di Apple, a quello contro l’hacker John DVD, che ha aggirato prima l’anticopia del sistema DVD, poi quella del Fairplay (alla faccia) della Apple per la musica digitale: che i possessori dell’iPod possano insomma, da allora, comprare anche musica non targata Apple. E per tacere, ancora, dello scandalo finanziario del 2006, con cui Jobs si salvò chiedendo semplicemente scusa per la truffa delle azioni post-datate ai danni degli altri azionisti.
Vi basta per togliere un po’ di santità dal guru?
Non posso che finire in un modo
Stay foolish, stay hungry…. stay Careful!
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Questo post non è stato scritto con un Mac.
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Fonte principale (oltre ai link dati): Steve Jobs, giù le mani dal guru. Giakomix, Bevivino editore, 2009, Roma\Milano.
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